Stupida io che ci ho creduto. Alle parole, agli occhi, alle mani, agli orgasmi.
Stupida io che mi vedevo in un letto con te accoccolata a guardare un film, in un letto a violentarsi, in un letto a godere, in un letto a guardarsi e sorridere in silenzio.
Stupida io che speravo saresti rimasto con le parole, con le unghie e i denti, con la colla, lo scotch, il coraggio, gli aghi e i fili, per provarci, per restare.
Stupida io che faccio dipendere da te il mio umore, che ci sto male, che ancora, forse, ci spero, perchè ho ancora, forse, bisogno di te.
Stupida io, che pensavo alle sere d’estate, al mare, ad altre stazioni, ad altre canzoni, ad altre fantasie da avverare.
Stupida io che, alla vigilia di un esame, scelgo di risponderti alle 5 e mezza del mattino e non sono più in grado di riacquistare il sonno.
Stupida io, che, seppur delusa, cerco di aggiustare le cose, con le parole, con le unghie e i denti, con la colla, lo scotch, il coraggio, gli aghi e i fili.
Stupida. Ma mi tengo il buono. Come sempre. Anche se non vuoi ascoltarmi. Anche se ormai hai deciso. Mi tengo il batticuore nel primo abbraccio dopo giorni di assenza, i baci e i sorrisi; mi tengo uno scontrino sul cui retro hai scarabocchiato la strada che dovevo fare per prendere l’autostrada e tornare a casa; quei piccoli ricatti per farmi studiare; mi tengo quell’intimo “cinque altissimo”; quel momento in cui fermi tra le due macchine stavo per tornare a casa, e alla fine no; quella mano sotto la gonna seduti al bar; l’ora passata a cantare e indovinare canzoni; l’ultima stretta di mano mentre salgo su un treno; l’immagine delle tue spalle mentre te ne vai e cerchi col maglione di coprire un amore non consumato.
E quella canzone dal minuto 2:25.
Mi tengo il buono.
E non puoi portarmelo via.
E non puoi punirmi anche per questo.